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ANIMA & kARMA: I VIAGGIATORI DEL TEMPO

“Lo Yoga crea equilibrio tra gli squilibri della testa e del cuore, del corpo e della mente, dell’anima e della personalità.” Yogi Bhajan

Yogi Bhajan e il Kundalini Yoga

Il Maestro Yogi Bhajan fu colui che, alla fine degli anni ‘60, portò lo Yoga in Occidente, per la precisione in Canada, dove era stato invitato a tenere dei corsi di Yoga presso l’Università di Toronto su segnalazione di un alto funzionario canadese che, a sua volta, era stato suo studente a Nuova Delhi.

In quegli anni impazzava il movimento hippie dei giovani americani che, attraverso l’uso di droghe, ricercavano una nuova coscienza, una nuova consapevolezza che li avvicinasse ad una vita più in armonia con le leggi naturali e ad un sentire più spirituale, slegato dalle convenzioni dell’epoca e permeato da una visionaria ideologia.

Il duplice compito di Yogi Bhajan, lavorando attraverso le tecniche del Kundalini Yoga, sarebbe stato quello di creare una nuova nazione spirituale, attingendo da questo enorme potenziale ricco di speranza verso il futuro e di riparare ai gravi danni causati dal costante abuso di queste sostanze.

Egli riuscì egregiamente nel suo intento, fornendo così un’alternativa virtuosa ed efficace alla “cultura dello sballo” in voga nel periodo, ma non solo, riuscì infatti ad interrompere una tradizione millenaria di segretezza, iniziando ad insegnare Kundalini Yoga pubblicamente.

Questa disciplina, di cui egli fu il promotore in Occidente, viene definita come lo Yoga della consapevolezza che porta alla comprensione di se stessi attraverso i meccanismi dell’inconscio e quindi, in maniera più impattante a livello mentale; inoltre la parola Kundalini detiene la sua radice nella parola “Kundal” che in sanscrito significa “ricciolo” e che rende chiaramente l’idea di un’energia vorticante, un’energia vitale sopita che simbolicamente viene identificata nella figura di un serpente addormentato che giace alla base della colonna vertebrale e che, attraverso la pratica della disciplina, viene risvegliato, portando ad un conseguente sviluppo del potenziale creativo dell’essere umano, fatto che trova quindi diretto riscontro con il concetto di azione. Cerchiamo allora di comprendere perché Yogi Bhajan e il Kundalini Yoga siano strettamente connessi al concetto di Karma.

Karma: il cappotto dell’anima

Il concetto di karma è direttamente collegato alla legge di “causa - effetto”, è esattamente il punto della vita in cui ci si trova; esso vive nel Samsara, ovvero all’interno della ruota della vita.

Quando parliamo di karma, parliamo di “azione e reazione”, uno stato che attraverso la pratica Yoga può divenire un agire consapevole, libero dai tracciati della nostra mente la quale, anche in maniera inconscia, inquina il momento presente.

Ma cosa si intende per “cappotto dell’anima”?

Nel momento in cui il corpo cessa di esistere e diviene altro da sé, la nostra trasformazione non viaggia in un’unica direzione. Infatti l’anima, che è ciò che resta, inizia il suo viaggio nell’etere alla ricerca di una componente femminile che possa garantirle la prosecuzione di ciò che essa ha iniziato a sperimentare risiedendo nel corpo precedente. Durante il suo viaggio, essa assume forma di un sottile filamento che, una volta individuata la nuova dimora, si incarnerà nel feto intorno al centoventesimo giorno di gravidanza e dipenderà completamente dal corpo energetico della madre che ha scelto, fino ai 3 anni.

Da buon viaggiatore, preparato alle intemperie, anche l’anima non dimentica di portare con sé il suo cappotto, che altro non è che il suo karma, ovvero il suo bagaglio di esperienze già vissute nelle vite precedenti.

Ogni essere umano, pertanto, nasce con un karma che si può considerare come il frutto dell’eredità genetica, ma anche, in linea con l’ipotesi della teoria della reincarnazione, come le azioni che si porta dietro da vite precedenti, da risolvere e completare.

Ampliando quest’ottica ed estendendola a livello globale, si giungerà presto ad intuire che il karma controlla ogni aspetto della vita e ogni individuo, infatti, secondo quanto ci insegna Hiroshi Motoyama, monaco scintoista, parapsicologo e scienziato, ognuno di noi è più o meno influenzato da almeno cinque categorie di karma: personale, familiare, locale, nazionale e mondiale; ciononostante è essenziale sapere che è possibile cambiare il proprio karma e influenzare il modo in cui il passato si manifesta nel momento presente, anche solo grazie a piccoli gesti e comportamenti quotidiani.

In che modo posso migliorare il mio Karma?

A dispetto di quanto si è portati a pensare, soprattutto nella mentalità occidentale, il Karma non punisce e non premia, ma esso assume un’accezione concreta, positiva o negativa, in base a ciò che pensiamo, facciamo e crediamo nel nostro presente.

Ad esempio, un Karma negativo che resta inattivo per lungo tempo, poco alla volta esaurisce la propria forza, per questo, se ponderiamo consapevolmente i nostri pensieri e i nostri comportamenti, possiamo volgere in positivo il nostro Karma.

Nella Bhagavad Gita, un testo sacro induista di somma importanza che narra di una supposta guerra avvenuta tra due famiglie per il possesso di alcuni regni dell’antica India, si dice che “la persona la cui mente è sempre libera dall’attaccamento, che ha sottomesso la mente ed i sensi e che è libera da desideri, ottiene la suprema perfezione di libertà dal karma tramite la rinuncia”, pertanto, per controllare e modificare il nostro Karma, ciò che possiamo sperimentare anzitutto è il non attaccamento e l’azione disinteressata e pura, senza aspettative e ricompense, aspetti che, declinati nella vita di tutti i giorni, possono tradursi con la pratica della gentilezza, dell’empatia e del perdono, imparando, in primis, a perdonare se stessi e a riconoscere con umiltà i propri errori per associarvi poi, la riflessione, la contemplazione e la meditazione.

Quindi se osserveremo con maggiore attenzione e agiremo con altrettanta consapevolezza, imparando dagli insegnamenti tratti dalle esperienze passate, riusciremo sicuramente ad adottare metodi di reazione differenti, crescendo ed evolvendo come esseri umani più saggi e responsabili e sarà spontaneo seguire e rispettare le celebri tre R del Dalai Lama: Rispetto per gli altri. Rispetto per te stesso. Responsabilità per le tue azioni”.


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Balyogando, Settembre 2022

FIDUCIA: IL FUOCO DELLA TUA TRASFORMAZIONE

Avete mai osservato un bambino che sta imparando ad andare in bicicletta?

Forse, in un primo momento, sarà la paura di cadere ciò che balzerà agli occhi, ma un attimo dopo sarà lampante la gran voglia di riuscire, la forte determinazione di raggiungere l’obiettivo, che scalzerà in secondo piano la paura dell’insuccesso, facendo emergere il sentire del cuore, unico ponte tra il sè e ciò che sta intorno, insomma un’innata ed ardente fiducia in se stessi e nell'altro.

La parola fiducia deriva dal latino “fides”, che significa “riconoscimento dell'affidabilità dell'altro”, indica qualcosa che si conquista sul campo, che richiede l'incontro ed il contatto, sembra quindi che alla fiducia non ci si possa abbandonare come alla fede, che è invece un atto assoluto. Ma ne siamo poi così sicuri?

La tradizione

Vyāsa, grande saggio e uno dei più importanti commentatori degli Yoga Sutra di Patañjali, scrive: 'La fiducia protegge e sostiene lo yogi, come una madre'.

La fiducia, infatti, come si apprende dalla tradizione yogica, produce l'energia necessaria ad intraprendere dei cambiamenti, attiva la volontà e genera la determinazione, aspetti, questi, che iniziano a svilupparsi nel bambino, grazie ad un sempre presente supporto materno e che trovano, poi, manifestazione nelle sue “piccole” conquiste quotidiane.

Dunque, il bambino che caparbiamente si dedica ad imparare a pedalare, é assolutamente fiducioso, ha riposto il suo cuore in quella missione senza pensarci un attimo, pur non conoscendo affatto ciò a cui va incontro e facendo esclusivamente ricorso alle proprie risorse personali ed innate.

A questo punto, torno a chiedermi se, effettivamente, provare fiducia non sia in qualche modo relazionato a compiere un atto di fede, magari inconsapevolmente.

Vyāsa continua illuminandoci in merito al fatto che ‘la fiducia garantisce la presenza della memoria che conduce verso la conoscenza risultante dalla concentrazione profonda, offrendo la possibilità di ricostruire la consapevolezza di dove si vuole andare e di ciò che si desidera attuare, aiutandoci a riconnettere noi stessi con le nostre motivazioni personali.

La scienza, inoltre, ci insegna che per circa il 70% siamo costituiti da acqua, elemento che ci dona la sua più preziosa qualità, ovvero quella di plasmare e rimodellare la propria forma, sia essa fisica, sia, in una visione più olistica e profonda, di pensiero, ovvero di modificare la famigerata ‘forma mentis’ degli antichi, offrendoci la possibilità di cambiare in maniera del tutto naturale e di sperimentare la fiducia senza soffermarsi troppo a pensare; spesso, però, attanagliati dalla frettolosa quotidianità, dimentichiamo questo dono e congeliamo ogni forma di movimento consapevole e di conseguente cambiamento, chiudendoci nella staticità e nell’abitudinarietà.

L’energia generata dalla memoria, ma anche quella che sgorga dal lasciarsi fluire dagli eventi, quel fuoco che brucia dentro ognuno di noi ci ricordano, attraverso le esperienze quotidiane, il reale motivo per cui siamo qui ed ora, ci fanno tornare all’origine, per viverne l'essenza, trascenderne la forma e bruciare del fuoco della trasformazione; quest’ultimo, infatti, alberga dentro ognuno di noi e, come un faro nel buio della notte, ci sospinge verso gli orizzonti desiderati. Per scaldarsi di questo calore e passare attraverso questo fuoco sacro é necessario avere fiducia, anzitutto in se stessi e nelle proprie capacità.

Lo Yoga ci viene in aiuto

A questo proposito lo Yoga ci tende la mano per fare il primo passo verso questa nuova dimensione, dove non esiste il fallimento inteso come qualcosa di distruttivo o insuperabile, bensì esso diviene la possibilità di destrutturare le convinzioni erroneamente radicate nel profondo della mente, fornendo un punto di partenza dal quale iniziare a ricostruire una nuova coscienza, un nuovo sentire, un nuovo essere in costante divenire.

Grazie alla pratica dello Yoga abbiamo l’occasione di attuare un potente esercizio di determinazione e di costanza, di volontà di non procrastinare, promuovendo attivamente il desiderio di agire per attuare un cambiamento, poiché la meraviglia di questa disciplina non resta mai confinata agli spazi chiusi di un tappetino, anzi continua ad agire anche, e soprattutto, quando ne siamo scesi, proponendoci un grande esercizio di fiducia che invita alla riflessione e che aiuta a ristabilire la direzione della nostra bussola interiore.

Una volta riacceso il tuo fuoco e riscoperta la fiducia in te stesso, sarai in grado di incanalare le tue energie nel migliore dei modi, non esisterà più alcun timore di posare lo sguardo sul mondo e ammirare le meraviglie di un panorama completamente nuovo e del tutto inaspettato, ricco di colori intensi e di delicate sfumature e la tua anima sarà finalmente in grado di cogliere questa bellezza, grazie alla consapevolezza di provare fiducia attraverso il sentire del cuore.

Torno perciò, ancora una volta, ad interrogarmi se provare fiducia sia davvero così differente dal compiere un atto di fede, allorché per iniziare un cammino verso una qualsiasi direzione è sempre necessaria una buona dose di coraggio, per affidarsi all'ignoto e per attraversarlo, per farne esperienza e per trasformare, in seguito, quanto vissuto in consapevolezza ed in esperienza; è come trovarsi in stazione pronti a timbrare il biglietto per una destinazione sconosciuta e affidarsi al cuore, l’unico capace di donarci istintivamente quella fiducia indispensabile per compiere il passo e salire sul treno verso ciò che realmente siamo, la nostra propria vera essenza; pertanto, giunto a questo punto, tu che fai? Non lo timbri il biglietto?!


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Balyogando, Maggio 2022

SANTOSHA: IL FIORE DELLA GRATITUDINE

Spesso ci lamentiamo delle nostre condizioni, della quotidianità che viviamo, di quello che abbiamo e di quello che invece vorremmo e sembra ci sia sempre una gran quantità di cose per cui essere insoddisfatti, mentre troppo poche siano quelle per cui essere felici, ma ci siamo mai chiesti perché? abbiamo mai realmente sospeso il giudizio, per un momento, per fermarci ad osservare attentamente?

Nella frenesia della vita moderna, così densa di stimoli e tanto avida di performances di successo, abbiamo forse smarrito il cammino, quel sentiero illuminato dalla concretezza dell’essere presenti nel momento, quel famoso “qui ed ora”, capace di rendere tutto più vero.

Se anche tu quindi, ti sei trovato o ti trovi a questo punto, non temere poiché la soluzione è già a portata di mano, racchiusa in una sola parola: gratitudine.

Alle orecchie più allenate sicuramente la connessione con la parola “cuore” sorgerà immediata e spontanea, a quelle un po’ meno, invece, ecco spiegato subito il motivo di un collegamento così diretto.

La gratitudine è, infatti, un sentimento, una vibrazione, probabilmente la più alta che possiamo provare, è una spinta che in maniera spontanea ci induce a sollevare lo sguardo da terra per rivolgerlo verso l’alto, è un flusso infinito di ricchezza interiore che trova immediata espressione nell’amore per la vita.

Aprirsi alla gratitudine quando la nostra vita rispecchia pienamente i nostri sogni e desideri è semplice, meno facile, invece, quando il mondo che ami sembra aver deciso di prendersi gioco dei tuoi sentimenti e delle tue emozioni.

E allora come fare? Come riuscire a provare gratitudine se tutto intorno sembra essere ostile?

È necessario fare uno sforzo, ebbene sì, impegnarsi nell’osservazione consapevole partendo da dentro, rivolgendo lo sguardo all’interno di noi stessi perché, come ben sappiamo, qualsiasi cambiamento, per essere tale, affonda le sue radici nel profondo e proprio come un fiore che per sbocciare necessita di terra fertile, il terreno sul quale far germogliare questa trasformazione siamo proprio noi.

Attraverso la pratica dello Yoga possiamo trovare la via per conseguire un equilibrio psicofisico, qualità indispensabile per il benessere e questa strada passa proprio attraverso il concetto di gratitudine.

Nella pratica yogica incontriamo questo pensiero espresso con il termine sanscrito “Santosha”, che descritto negli Yoga Sutra di Patanjali, ci riporta ad un’idea di “soddisfazione”, di “appagamento” , ad uno stato di accettazione ed apprezzamento di ciò che già siamo e di ciò che già possediamo e che nella pratica degli asana si traduce nel riconoscimento dei limiti del proprio corpo nella sua completezza, con la consapevolezza che lasciando andare il bisogno di maggiore flessibilità e apprezzandosi per ciò che si è, i progressi avverranno con più naturalezza.

Lo yogi è chiamato ad osservare questo stato di contentezza e appagamento non solo nella pratica sul tappetino, bensì durante la vita di tutti i giorni poiché siamo davanti ad una norma di condotta morale.

E allora, come fare per integrare nella nostra quotidianità questa pienezza?

Grazie ad una consapevole e costante introspezione, accompagnata da una visione più aperta che va oltre il mero giudizio, soprattutto quello negativo, oltre la critica e la scontentezza di ciò che si possiede e l’ostinazione di voler capire ad ogni costo tutto quello che accade, passo dopo passo, possiamo avvicinarci alla meta e veder fiorire i primi germogli di questo splendido fiore, la gratitudine, appunto.

Oggi, dopo diverso tempo trascorso ad occuparmi con costanza e dedizione del sottosuolo dove affondano le radici di questo prezioso fiore, posso affermare che anche se in alcune giornate il sole non bacia tutti quanti i suoi petali, il suo profumo accompagna sempre i miei pensieri ed i miei gesti.

Ho imparato quanto sia importante accettare ciò che arriva, che non significa affatto non provare delusione o sconforto di tanto in tanto, piuttosto andare oltre, provando a riconsiderare obiettivamente tutto quanto già si possiede, ciò per cui essere grati e felici, osservando che spesso ciò che sentiamo mancarci, risulta essere superfluo ed effimero.

Perché dunque non ritenersi fortunati della vita che abbiamo, che viviamo e che giorno dopo giorno abbiamo l’onore di creare a nostro gusto, colorandola dei nostri colori preferiti?

Osservazione, accettazione, lasciare andare e fiducia: elementi fondamentali che daranno vita al tuo bocciolo e gli offriranno nutrimento.

Una volta intrapresa la strada del cambiamento saranno profonde la gioia e la leggerezza, una genuina felicità e se dopo queste parole avessi ancora dei dubbi, ecco un semplice esercizio per iniziare subito: sorridere!

Il potere del sorriso

Il sorriso è un potente strumento al nostro servizio, è associato ad uno stato mentale di calma, di soddisfazione, di amore e di gioia e soprattutto non costa nulla ed è piacevolmente contagioso!

Si dice che tenere il broncio coinvolga ben 72 muscoli, mentre sorridere solamente 12. È chiaro che essere tristi e/o arrabbiati risulta energeticamente più dispendioso, piuttosto che restare in una condizione rilassata.

Pazientemente, emanando gratitudine, sarà più facile accettare le parti meno soddisfacenti dell’esistenza ed interiorizzare le difficoltà in maniera consapevole, attribuendo loro la capacità di renderci più forti e fiduciosi nei confronti del destino; aprirsi al bene e alla gioia diverrà spontaneo.

La gratitudine, in quanto flusso infinito della positività, raddoppierà la potenza del bene ricevuto, insegnando il più alto modo di vivere, affidando tutto al cuore e ad una comprensione più ampia e morbida di noi stessi e della realtà.

L’Universo agirà come una cassa di risonanza e la frequenza delle tue vibrazioni chiamerà a te infiniti altri motivi per provare gratitudine, per praticare “Santosha” e per far sbocciare il TUO fiore.

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Balyogando, Marzo 2022